Per oltre mezzo secolo, il Myanmar (ex Birmania) è stato alla mercé di dittatori, giunte militari, fazioni di ribelli e trafficanti di droga sanguinari e senza scrupoli. I governi dittatoriali che si sono susseguiti hanno tentato, invano, di cancellare ogni traccia di democrazia nel paese, arrestando intere assemblee parlamentari, ricorrendo al lavoro coatto per dare fiato a un'economia in crisi, imprigionando Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991, e riducendo brutalmente al silenzio ogni voce dissidente.
Benché l'ingresso del Myanmar nel nuovo millennio sia stato caratterizzato da un abbandono della politica socialista e isolazionista in favore di un pragmatismo economico, la sua condizione di stato "paria" agli occhi del mondo occidentale è diventata un handicap economico. Il governo attualmente in carica sta cercando di perfezionare i suoi equilibrismi politici che mirano ad attirare gli investimenti stranieri, mantenendo allo stesso tempo il potere con le unghie e con i denti. Le forze ribelli sono indecise tra il proseguire la lotta rivoluzionaria oppure rassegnarsi e sopravvivere. Il Myanmar non è di certo il paese asiatico più facile o più tranquillo da visitare, ma è ricco di luoghi incantevoli e persone sorprendentemente cordiali; consente, inoltre, di dare uno sguardo a una società di tipo orwelliano, bizzarra e inetta, che sembra aver perso ogni contatto con il presente. Grazie alle politiche di chiusura verso ogni influenza esterna, il Myanmar è uno dei paesi meno occidentalizzati del mondo.